Francesco De Angelis

Francesco De Angelis

L'Arte è di casa quando si ha un padre che risponde al nome di Luigi De Angelis e, sotto la guida paterna il giovane Francesco muove i primi passi nel campo della pittura, presto s'impadronisce della tecnica e può così versare sulla tela la piena dei suoi sentimenti repressi, le sue visioni, i suoi sogni, la sua desolazione. Vengono fuori cupi paesaggi dove le cose, le persone, le piante, gli animali somigliano a quelli paterni, ma l'atmosfera in cui sono immersi è diversa: la giocondità e giocosità paterne sono svanite ed hanno lasciato il posto a qualcosa di conturbante che è nell'aria lacerata da sinistri bagliori, nel cielo repentinamente oscuratosi come in attesa di un imminente temporale. Indimenticabili sono i grandi quadri dove compaiono file di bastimenti allineati nel porto, tutti forniti di ricche alberature ed abbondanti vele, che si levano come bianchi sudari contro il cielo violetto, ma di cui si ha la certezza che non prenderanno mai il largo come se un maleficio gravasse su di loro. I lunghi moli deserti rendono ancora più tragica la scena e la caricano di una sublime bellezza. Si sprigiona da questi quadri un'altissima poesia che li mette alla pari delle migliori opere della pittura metafisica. Ricordiamo anche i "Notturni dopo la festa", anch'essi toccanti: è notte fonda, la festa è finita, le luminarie sono ancora accese, i radi viandanti si affrettano verso casa a riprendere il grigiore delle loro esistenze dopo la troppo breve parentesi di spensieratezza. Così grande è l'incomunicabilità fra gli uomini che qualcuno ha potuto provare anche rabbia di fronte a tanta fedeltà alla propria ispirazione e non gradire che la solare e allegra nostra isola fosse ripresa in un modo così inquietante. Noi diciamo invece ch'è sommamente da ammirare quest'artista che nulla concede alla platea, non si commercializza in un tempo dove tutto è visto in termini di valore venale. Negli ultimi lavori una maggiore serenità personale e familiare gli ha permesso di schiarire un po' i colori e di intingere il pennello qualche volta nel rosa e nell'azzurro, anche se rimane come dato di fondo permanente una rassegnata malinconia" (Michele Longobardo).

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