La scoperta archeologica di Pithecusa

La scoperta archeologica di Pithecusa

L´archeologo militante, ovvero l´archeologo scavatore, può cadere facilmente nell´errore di sopravvalutare l´importanza di ciò che egli stesso ha portato alla luce negli scavi da lui condotti. Questo pericolo è tanto più grande quando uno - come ho fatto io - ha dedicato praticamente l´intera vita a scavare nello stesso sito. Quando il sito archeologico si trova per giunta in un posto di tanto fascino com´è l´isola d´Ischia, che lo scavatore ha scelto quale patria di elezione, un simile aspetto non sarebbe affatto ingiustificato. Ho ritenuto perciò che io sia la persona meno qualificata parlare stasera a un pubblico che non è di specialisti "addetti ai lavori" del ruolo che Pithecusa ebbe in un periodo di cruciale importanza per la storia della nostra civiltà occidentale quale era la seconda metà dell´VIII secolo a.C. e dell´opportunità che ai reperti che documentano questo ruolo venga dedicato un apposito museo. Ho pensato bene, perciò, di affidare invece questo compito al prof. David Ridgway, che non è soltanto da molti anni mio collaboratore nello studio e nella pubblicazione scientifica degli scavi di Pithecusa, ma, all´Università di Edimburgo, insegna archeologia protostorica europea e pertanto non può essere sospettato di una valutazione che parta da un punto di vista troppo ristretto, troppo locale, da una visione contaminata dall´amore per questo lembo di terra.

Piuttosto vorrei introdurre quanto vi dirà l´amico Ridgway rispondendo alla domanda che spesso mi è stata rivolta da non-archeologi: «Ma come avete fatto a trovare i posti dove erano nascoste sotto terra le tombe e le case che avete scavato? L´avete trovato scritto nei libri?». Qualche cosa, infatti, ho trovato "scritto nei libri", ma assai poco, invero. Anzitutto una frase di Amedeo Mauri che nel 1930, in un articolo dal titolo Aspetti e problemi dell´archeologia campana, scrisse «del tutto ignota è l´isola d´Ischia», e un´annotazione di Tito Livio (VIII, 22, 5-6), secondo la quale i coloni greci venuti da Calcide e da Eretria nell´isola di Eubea, prima di fondare Cuma sulla costa del contintente, si sarebbero stabiliti nell´isola d´Ischia fondandovi una città dal nome Pithecusa. Strabone, il geografo greco contemporaneo di Livio, scrive che gli abitanti di Pithecusa nell´isola omonima vissero inizialmente in prosperità (V, 247C), ma parlando di Cuma (V, 243C) afferma invece che questa sarebbe stata la più antica colonia greca d´Italia e di Sicilia, come tuttora si trova ripetuta nei testi scolastici e divulgativi. Livio «che non erra» (Inf. XXVIII, 12) si sarebbe dunque sbagliato? Quando raccolsi, da studente liceale, in un quaderno tutti i passi degli scrittori greci e latini che parlano dell´isola d´Ischia, non potevo ancora immaginare che avrei speso tanti anni della mia vita per provare che il giudizio di Dante sullo storico romano, anche in questo caso, coglie nel vero.

Da: La scoperta archeologica di Pithecusa di Giorgio Buchner

[Imagaenaria Editore]

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